Simon Starling
Three Birds, Seven Stories, Interpolations and Bifurcations
29 marzo — 28 giugno 2008
Alla sua terza personale presso la Galleria Franco Noero, Simon Starling (1967, Epsom, Inghilterra), vincitore del Turner Prize 2005, inaugura la nuova sede espositiva nella “Fetta di Polenta” con la mostra Three Birds, Seven Stories, Interpolations and Bifurcations.
Il progetto attinge a diverse versioni, reali e immaginarie, dello stesso racconto - la storia di un architetto europeo chiamato da un Maharajah per realizzare un ambizioso progetto costruttivo in India. Al centro dell’opera è la storia vera dell’architetto tedesco Eckart Muthesius, al quale fu commissionata nel 1929 la costruzione di Manik Bagh (Giardino di Pietre Preziose), residenza razionalista del cosmopolita Maharajah di Indore Yeswant Rao Holkar (1908 - 1961).
L’intento di Muthesius e del suo committente era quello di realizzare un “gesamkunstwerk”, un’opera d’arte totale che rappresentasse il meglio del design europeo e della tecnologia degli anni ’30. Il Palazzo era arredato con molti oggetti su disegno originale di Muthesius e innumerevoli esempi di arte e design dei più celebri rappresentanti delle Avanguardie europee: Le Corbusier, Eileen Gray, Marcel Breuer, Lilly Reich e Constantin Brancusi.
L’avventura indiana di Muthesius, si intreccia con le tre versioni di due film sceneggiati nel 1921 da Fritz Lang e Thea Von Harbou, “La Tigre di Eschnapur” e “Il Sepolcro indiano”. I primi due film furono diretti a Berlino da Joe May e narrano la storia di un maestro Yogi indiano che deve persuadere un architetto europeo a lavorare per il Maharajah di Eschnapur. I successivi rifacimenti dei film vennero diretti da Richard Eichberg durante il Nazismo nel 1938 ed infine da Fritz Lang nel 1959, che lo girò ad Udaipur in Rajastan con la consulenza dello stesso Muthesius.
I ‘Three Birds’ del titolo fanno riferimento al rapporto ‘vero’ tra Constantin Brancusi e il Maharajah di Indore, iniziato nel 1933 con l’acquisto della scultura in bronzo ‘Bird in Space’ e proseguito con la commissione di due varianti dell’opera, una in marmo nero e una in marmo bianco destinate ad adornare un tempio per la meditazione, mai realizzato, rispecchiando i desideri creativi di Brancusi e l’intenzione del Maharajah di modernizzare il culto Hindu.
Il progetto di Starling prende spunto inizialmente dalla scoperta a Torino di una coppia di ritratti fotografici del Maharajah e dalla Maharani di Indore in abiti nuziali, e si ispira direttamente alla “Fetta di Polenta”, lo straordinario edificio torinese costruito su una sottile striscia di terreno nel centro di Torino dall’architetto Alessandro Antonelli, intorno alla metà dell’Ottocento.
Questa audace e riuscita “affermazione di edificio” - così definito da Simon Starling - alla quale le “Seven stories” (sette storie/sette piani) del titolo fanno riferimento, sembra esistere come proiezione virtuale di una costruzione impossibile piuttosto che una struttura in mattoni e cemento, con una pianta quasi triangolare che si ripete e diventa la chiave per dar forma al lavoro, in parte costituito da tre sculture in marmo esposte su diversi piani della casa. La prima, un blocco di marmo nero del Belgio a spacco di cava - lo stesso materiale usato da Brancusi – è stato scansionato al laser e la sua forma replicata in altri due blocchi in marmo nero indiano e in marmo bianco italiano, utilizzando un macchinario di avanzata tecnologia. Questo trasferimento di forme da un materiale all’altro, da un piano all’altro della casa, segna un ‘passaggio’ verticale dal basso in alto attraverso la “Fetta di Polenta”.
Il percorso è accompagnato da una serie di fotografie e testi – le ‘interpolazioni e biforcazioni’ – che traducono l’ambizione progettuale di Manik Bagh in quella della Fetta di Polenta e l’immaginazione narrativa di May, Eichberg e Lang nella storia reale di Muthesius in India.
Le fotografie documentano, oltre ad altri soggetti, anche un modello in scala 1:1 di un piano della ‘Fetta di Polenta’ realizzato a Berlino, aggiungendo un ulteriore livello narrativo ai diversi avvicendamenti geografici tra Indore e Berlino, tra Berlino e Torino.
Three Birds, Seven stories, Interpolations and Bifurcations traccia una migrazione di idee e un trasferimento di forme nel tempo e nello spazio, da Berlino all’India, dalla celluloide ai mattoni e al cemento, da un modello virtuale alla riproduzione reale, dal primo al settimo piano dell’edificio.
Simon Starling (Epsom, 1967) vive e lavora a Copenhagen. Vincitore del Turner Prize nel 2005, il suo lavoro è stato oggetto di esposizioni personali presso istituzioni pubbliche e private quali CAC, Malaga (2010), Hiroshima City Museum of Contemporary Art, Hiroshima (2011), Kunsthal Charlottenborg, Copenaghen (2011), Thyssen-Bornemisza Art Contemporary, Vienna (2012), Tate Britain, Londra (2013), Museum of Contemporary Art, Chicago (2014), Musée d’art contemporain de Montréal, Montreal (2015), Casa Luis Barragan, Città del Messico (2015). Ha inoltre partecipato a numerose rassegne quali 50a Biennale di Venezia (2003), 26a Bienal de São Paulo (2004), Biennale de Lyon e 8a Sharjah Biennial, Sharjah, UAE (2007), 53a Biennale di Venezia (2009). Esposizioni personali gli saranno dedicate nel 2016 in istituzioni quali Nottingham Contemporary, Nottingham e Common Guild, Glasgow.